Cadere dal basso

Dall’alto o dal basso

Sabato scorso sono andata a camminare a Chianocco, e nel punto più alto del belvedere ho trovato questo cartello. Lapalissiano, dato che buttarsi giù nel canyon non è una buona idea: se non cadi dall’alto, però, da dove cadi?

Rewind. Ricordate, immagino la scappata nel finalese (ne riparleremo). Bene, tornando a prendere l’auto, con la borsa e tutto il resto, sono volata per terra nel parcheggio (sconnesso). Devo avere inciampato in una pietra. Caspita mi sono detta mentre mi disinfettavo il ginocchio sbucciato, due volte in un mese o quasi. Sì perché a fine marzo, uscendo da un incontro al sindacato tutta bella gasata e contenta ero rovinata nel loro cortile ampiamente sconnesso sullo stesso ginocchio (il mio lato destro è ampiamente disastrato). In ogni caso ho detto no no non è niente (e intanto pensavo, devo farmi una TAC?), ho sperato che il sangue sui pantaloni venisse via (è venuto via, per fortuna, dopo un semplice lavaggio con sapone a casa) e ho camminato verso Perti mentre la crosta si solidificava. E’ ancora lì, combattuta a suon di pomate cicatrizzanti (commento del mio ex compagno farmacista: CHE HAI COMBINATO?).

Sabato, dicevo, sono andata a camminare a Chianocco, ho saltellato in mezzo al bosco e pure sulle pietre per guadare un torrentello, poi mi sono seduta a guardare l’orizzonte e mi è balenato il fatto che nell’intero pomeriggio non ero inciampata neanche una volta – e capita, basta una pietra o una radice un po’sporgente. Ricapitolando la mia vita, mi è sovvenuto che in montagna non sono praticamente mai caduta. In realtà, sì, sono caduta a otto anni in Val Veny guadando un rigagnolo vicino al Pré de pascal, che allora era molto diverso da come è adesso (leggi, c’erano delle baite diroccate): sono caduta di culo nel rigagnolo medesimo, bagnadomi il posteriore suddetto, tra l’ilarità degli astanti, e facendo incazzare moltissimo mio padre, per cui il terzo peccato mortale dopo l’essere disonesti e fascisti era l’essere goffi (avrebbe accettato l’essere disonesti, credo, piuttosto che goffi, ma non l’essere fascisti). Per lo meno, l’essere goffi in montagna.

E infatti me lo ricordo cinquant’anni dopo.

Invece, dal basso, o meglio nei cortili, cadevo spesso. Devo avere un atavico rifiuto dei cortili. Ho ancora sullo stinco (sinistro questa volta) una traccia di cicatrice, ancora parzialmente visibile, che mi sono procurata a cinque o sei anni nel caro quartiere Milano di Rapallo, nella prima casa in cui abbiamo abitato, non la Serenella interno 13 del resto della mia infanzia, quella rosa (Serenella era azzurrina – i condomini avevano e hanno nomi di fiori). Quella aveva uno scivolo per accedere ai garage e io avevo imparato a volare, e una pietra mi aveva aperto lo stinco (pianti, farmacia, no non è da cucire – i punti sono stati il terrore della mia infanzia – i miei sempre variamenti incavolati). Ho passato l’infanzia con le ginocchia sbucciate (eh ma cade sempre, diceva la mia elegantissima zia – cadevo anche nel cortile della nonna, di cemento).

Ma cadere in montagna no, nemmeno adesso. Ma dal basso nei cortili – e nei parcheggi, che sono grossi cortili, eh lì devo fare attenzione.

Informazioni su alpslover

camminatrice e scrittrice, insegnante e madre - di - gatto, moglie scoordinata e ricercatrice, vive nel profondo nord.
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