E’ primavera e inauguriamo una nuova rubrica

Ieri sera era l’equinozio (sì la primavera astromica, da qui al 2100 e rotti è al 20 marzo e non al 21, non chiedetemi perché, che l’astronomia c’est pas mon truc) e oggi ho deciso di inaugurare una nuova rubrica, in sordina, non temete: UN LIBRO AL MESE. Un libro di montagna o quasi, di quelli che leggo, e non necessariamente quindi una novità, che come sapete, l’attualità qui viene fuori solo quando strettamente necessaria.

E quindi per coerenza il primo libro che vi consiglio (ovviamente perché l’ho letto, come tutto quello che si scrive qui sopra è tutto true and tested dalla sottoscritta) è quasi una novità, il nuovo libro di Franco Faggiani, L’inventario delle nuvole, (Fazi, 2023). E no, dato che devo scrivere ben tre recensioni per lavoro e non ho neppure iniziato, non mi sono messa a scrivere ex novo una recensione “seria”. Vi consiglio quindi di leggere quella di Davide Torri su Altitudini

(la copertina è tratta dal sito di Jeff Bezos, quando avrò i link affiliati, capiterà prima o poi, metterò anche il nome. Leggendo la recensione vi assicuro che vi verrà voglia di comprare il libro, che è quello che una buona recensione dovrebbe fare, tra l’altro).

Io invece ho combrato il libro, in versione e -book, per ormai le solite questioni di spazio, un po’ sulla fiducia. Avevo letto infatti il suo primo libro, La manutenzione dei sensi, che avevo e ho molto amato: soprattutto, avevo amato come i due protagonisti in qualche modo si ritrovassero nella solitudine, che è una cosa che cerco anch’io quando vado in montagna. Ve lo dico subito, i libri che mi parlano, fosse pure Guerra e pace che è uno dei miei libri preferiti, dicono qualcosa di me – è un’idea che mi ha trasmesso mio padre, e non devo giustificare su di essa un assetto critico, che tanto non è il mio lavoro.

Quindi mi parla Guerra e pace ma non tutti i russi in generale, le rime petrose di Dante, le poesie erotiche di Kavafis, Isaac Singer e Eric Maria Remarque, Pattini d’argento, Jane Austen e Proust.

In ogni caso, avendo letto un po’ di notizie su questo nuovo libro, mi intrigava il fatto che fosse ambientato in una parte del Piemonte da me poco conosciuta. Alla fine, in quella parte di Piemonte passerò le mie vacanze quest’estate (forse, che per il futuro non si sa mai). Ma non ditelo a Luisa

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Domenica con il colosso

Ci sono delle volte in cui da sola sconfiggi le tue migliori intenzioni. Un paio di domeniche fa volevo scrivere ( perché le mie scadenze, ovviamente, non finiscono da sole) e tutto congiurava contro di me, nel senso che era tutto un vuoi uscire? Facciamo qualcosa? Ho cercato di dribblare, poi il cugino piacione si è piazzato davanti al Gran Premio, e Lulu dato che non stavo comunque combinando molto, mi ha tirato fuori di casa.

E mi ha detto, andiamo ad Arona? Che era precisamente il posto per cui avevo detto ad amica n. uno , no dai al mercatino vai tu

Vabbè

Le ho mandato un messaggio comunque, perché appunto non volevo fare brutta figura, e l’ha presa bene ( ci siamo anche parlate). Spoiler. No non ci siamo incontrate perché lei è ripartita quando noi con tutta calma siamo arrivate. Con i nostri tempi biblici. E con il traffico.

Tutte e due avevamo una mezza intenzione di tornare al Colosso, aka il Sancarlone, che è una statua di bronzo di San Carlo Borromeo ( alla sua famiglia apparteneva il territorio di Arona) alta trenta metri.

Ci si arriva a piedi in una ventina di minuti dal centro ( però l’ultima parte del Calvario è a fianco della strada), ma noi siamo andati in auto perché io ero ancora in versione anatra zoppa. E la statua era chiusa.

Il colosso dal cancello

Pagando i tuoi venti euro ( sì i santi non vengono proprio a buon mercato) puoi salire sulla balaustra- una aggiunta successiva e poi attraverso una scala a pioli arrampicarsi sino agli occhi, da cui si vede un bel panorama sul lago

Non crediate. Ci vuole un certo atletismo per arrampicarsi sulla scala di alluminio stile ferrata ( sarà che quando l’ho fatto ero una adolescente goffa…oggi sono un’anatra zoppa, andiamo bene)

Di fronte c’è la chiesa di San Carlo, barocca, a pianta quadrata (con la portantina del santo, che era pur sempre nobile).

Poi ci siamo fatte tutto il lungolago tra i resti del mercatino invia di smobilitazione e un grande luna park. E un forte vento ( non proprio di primavera)

E alla fine, siamo finite in una pasticceria , la Maison Morotti, dove abbiamo preso un ottimo aperitivo (io essendo un’anatra zoppa, ho bevuto)

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È primavera e io sono un’ anatra zoppa

Primavera

L’ho già detto? L’ho già detto: sono una persona abitudinaria .

La primavera per me è la Valsesia. È cercare le primule vicino a Prati di Cervarolo. C’è un punto, e solo lì, in cui per, evidentemente, una combinazione di suolo ed esposizione al sole che fa letteralmente esplodere ciuffi di primule già agli inizi di marzo. Siamo vicino a Varallo, in una valle tributaria che è la Val Mastellone, la mia preferita insieme alla Val Sermenza di Carcoforo.

Ma sportivamente parlando, che disastro. Ho dolori muscolari ovunque, e , a parte la paranoia, ho provato a cercare una causa e la soluzione. E per fortuna ho un medico, adesso, che azzarda persino una diagnosi, e fornisce soluzioni. Ma io avevo male sabato scorso e ho male pure adesso ( e oggi ho pure preso in’antinfiammatorio, che cerco di non prendere , ma perché dover soffrire?)

Comunque sabato sono salita lemme lemme sino ai Prati, ho guardato le primule, la chiesa, le galline, dato un’occhiata alla stradina che porta a mezza costa a Cervarolo. E poi sono scesa. E ho visto la madre di Dio e qualche santo. CHE DOLORE! E quando hai dolori, li hai a scendere, non a salire (salendo si allungano i polpacci, scendendo freni, e quindi tibiali quadricipiti polpacci tutti insieme, una sinfonia di infiammazioni

Che il magnesio, gli integratori e tanta acqua (ossia quanto ha detto il mio dottore) non hanno ancora portato via.

Poi va beh, mi sa che mi tocca anche una risonanza, un giorno o l’altro, che sto ginocchio sinistro è un po’ appeso a un filo.

Insomma, un’ anatra zoppa.

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Ora, i dintorni

Dopo essere arrivate intirizzite a Monte San Savino e passato il sabato sera a sbrinarci, restava da vedere cosa fare di noi la domenica. Dopo una bella dormita, una buona colazione e un saluto ai gatti, ai cani e al nostro padrone di casa ci siamo divise. Viola e la mamma sono tornate in Liguria e noi tre abbiamo pensato a cosa fare. L’idea originaria era di fare un salto a Cortona, che nessuna delle tre aveva mai visto, ma paghe del freddo patito il giorno prima e con la prospettiva di a long journey home abbiamo rinunciato. E così abbiamo deciso di concludere la nostra gita in Toscana, dove comunque c’è così tanto da vedere da non saper letteralmente dove girarci.

Alla fine abbiamo optato per vedere la Madonna del Parto di Piero della Francesca a Monterchi, che si trova a pochi chilometri da Monte San Savino e dove siamo stati accolti da una spruzzata di neve lungo la strada. La Madonna ha una storia curiosa alle spalle. Fu dipinta da Piero per una cappella di campagna ai piedi del paese di Monterchi, che è su una collina ed è il paese natale della madre di Piero. Dovrebbe risalire alla seconda metà del Quattocento e non si sa perchè, essendo già famoso, abbia deciso di fare un affresco in un posto che già allora era abbastanza sperduto. Quella povera cappella ha avuto poi una storia abbastanza travagliata, ampliata nel Settecento, rimaneggiata, l’affresco è stato staccato e spostato e ne hanno perso un pezzo (che l’imbianchino dell’epoca aggiustò con qualche pennellata di colore…), poi c’è stato un terremoto, insomma adesso è in una scuola media (di epoca molto fascista) ed è lì in mancanza d’altro: non si può ricollocarla nella cappella originaria ora del cimitero, perché non andrebbe più nessuno a vederla, non si può metterla a dimora nella chiesa che si trova proprio di fronte alla scuola, perché l’edificio non è sicuro, la Diocesi vorrebbe spostarla a Sansepolcro – perchè il quadro tecnicamente è di proprietà della diocesi – i montarchesi si oppongono, la sovrintendenza tace e insomma si è in uno stallo alla messicana dal ’93.

E questo è lo stato del patrimonio artistico in Italia.

Monterchi è un delizioso paesino medievale, ma è praticamente disabitato: anche l’impiegata del museo ci ha detto che non abitava lì, e non c’era nemmeno un bar aperto. Non capita spesso, ma quel giorno lì non abbiamo trovato nulla da mangiare.

Ma la Madonna del parto è una meraviglia, da lasciarci a bocca aperta, per la costruzione, per le simmetrie, per i particolari (i bottoni slacciati dell’abito per accomodare il ventre), per i colori. Siamo rimasti a guardarla un’ora senza essere disturbati – perchè naturalmente non c’era nessuno. Nelle altre sale del museo, che si vede benissimo essere una scuola, la storia dell’affresco e delle sue vicissitudini, compresa quella di essere stato dimenticato per secoli, sono raccontate molto bene. Sette euro molto ben spesi. (Se siete interessati , Carlo Ginzburg ha scritto anni fa un libro su Piero, che Adelphi ha recentemente ripubblicato.

Così, in un limpido pomeriggio invernale , ce ne siamo tornate a casa

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Tutti i Piero della Francesca di Arezzo (e dintorni)

Ricordate, avevo visto Arezzo, e abbastanza di sfuggita, nel ‘93, e sempre tra le maglie di un convegno. Ricordavo anche di aver parcheggiato quasi ai piedi della chiesa di San Francesco, e quindi probabilmente vicino alla stazione, mentre il nostro sempre disponibile padrone di casa ci ha consigliato un altro parcheggio ai piedi delle mura, che però era almeno per metà gratis, il parcheggio Pietri. Il consiglio è di arrivare abbastanza presto. Alle dieci, che non è proprio prestissimo, c’erano ancora parecchi stalli, quando siamo venute via a metà pomeriggio era tutto pieno.

Il bello di un sabato d’inverno era ovviamente che in giro non c’era assolutamente nessuno. Non un’anima, a parte i locali, qualche pensionato e noi. Stranieri pochissimi, a parte una comitiva di cinesi incontrata in una pasticceria .

Se volete vedere i Piero della Francesca di Arezzo, che è una delle buone ragioni per andarci, tra l’altro, dovete partire dalla chiesa di San Francesco. Sul sito, la mattina, consigliava la prenotazione online perché gli ingressi sono contingentati. Alla cassa, non dico il red carpet, ma quasi. Dentro, due studenti e noi. Il modo migliore di vedere gli affreschi, che sono nella cappella Bacci dietro all’altare, quasi nascosti dal crocefisso della scuola di Cimabue

Il tema è la storia della Vera Croce, leggenda molto diffusa (nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine) che lega la croce di Gesù ad Adamo, e alla Regina di Saba che si inginocchia riconoscendo la santità del legno, sino ad arrivare al sogno di Costantino e a in hoc signo vinces –una piccola croce che l’imperatore tiene in mano durante la battaglia.

Ecco queste sono le scene che preferisco, con i cavalli meravigliosamente dipinti. Non i personaggi femminili, l’uso squisito della prospettiva, la prima scena notturna dipinta nel Rinascimento ( in realtà è un’alba), o i particolari di gonfaloni e armature nella loro totale a-storicità. I cavalli.

Il mio santo (non proprio il mio, che è l’abate)

Nella chiesa ci sono molti altri affreschi, secondo la tradizione didascalica e comunicativa dei francescani (ok la mia vena professorale sta prendendo il sopravvento. Però dopo aver visto anche le storie bibliche di Spinello Aretino, potete uscire e finire il vostro giro in cattedrale)

In cattedrale, tra molte altre bellezze, compresa la tomba che vescovo che la fece costruire e che morì armi in pugno per difendere Arezzo – una santa vocazione ovviamente – due della Robbia, un’effigie miracolosa della Madonna, c’è anche lei.

La Maddalena

Notate il particolare dei capelli unti , poiché ha lavato con l’olio i piedi di Gesù e lì ha asciugati con i suoi capelli (uscire con una storica dell’arte ha i suoi innegabili vantaggi).

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Andare in Toscana nel periodo più freddo dell’anno

Non questo week end, cioè. Dove ha fatto comunque freddo. E persino Cristina D’Avena (no i Måneskin non vengono a suonare qui) non ha cantato, se no il vento se la portava via

Ricordate la volta che Fanny si era persa? Era il per il compleanno di un’amica, di quelli pesanti – il mio è stato in pieno lockdown quindi devo ancora rendermi conto. Un’amica di lunghissima data ( un giorno questa storia dovrò raccontarla un po’ più in dettaglio) con cui in realtà ho viaggiato pochissimo, se si escludono corsi e convegni, che sono un’altra cosa. Mi aveva invitato a festeggiare facendo un viaggetto . E dopo molte esitazioni e confronto dei prezzi (qui nessuno è Onassis – così avete idea di quanto siamo boomer, per voialtri ggiovani come i Ferragnez) avevamo deciso per Arezzo, che nel gruppo che Lia aveva scelto per festeggiare due non conoscevano, e noi due avevamo visitato di corsa nel 1993, agli albori della nostra amicizia, e poi per ragioni varie e diverse non ci avevamo mai più messo piede.

Il viaggio è capitato in un periodo in cui ero per varie ragioni morta. E lo ammetto ho fatto di tutto per tirarmi indietro. Ero anche particolarmente a corto per aver pagato bollette varie, che sono la croce e delizia di tutti noi quest’anno, ma la festeggiata , cioè Lia, ha detto ed era prontissima a fare una cosa che mi ha fatto capire che ci tenesse davvero tanto alla mia presenza e non solo perché mi aveva chiesto di guidare.

Sono partita tra i lazzi dei miei coworkers, soprattutto del direttore della biblioteca, che ha detto più o meno ( ricordate che le sue frasi sono accuratamente censurate perché mi leggono nonne e bambini), sei matta hanno detto che farà un freddo becco. Non solo, le meteo davano neve, l’amica di Lia aveva prenotato in un agriturismo bellissimo ma in cima a un dirupo (come abbiamo poi scoperto , in fondo a un dirupo) e non aveva le gomme da neve perché tanto a Finale Ligure non servono, mentre io so guidare con la neve (mio commento, va beh, alla mala parata il proprietario ci aiuterà a metter su le catene: non è capitato, per fortuna, ma avendo conosciuto il simpatico proprietario di sicuro ci avrebbe aiutato).

La vista dal dirupo

Comunque siamo partite tardi perché io avevo la solita riunione a cui non potevo rinunciare, abbiamo fatto la solita coda in Liguria, perché non importa se a est o a ovest la coda c’è sempre (e comunque c’era sempre la possibilità di neve sull’appennino e quindi meglio fare la litoranea e non la variante di valico) e a gennaio abbiamo fatto l’ultima parte del viaggio col buio pesto e ovviamente ci siamo perse intorno a Monte San Savino che era la nostra meta e che è un posto bellissimo quando lo abbiamo visto col sole. Siamo arrivato che era tardissimo, abbiamo finito per bere con il padrone di casa e non abbiamo fatto entrare la gatta che era fuori, su suo consiglio, perchè poi ci avrebbe svegliato alle tre per uscire. Però tutti i molti gatti felici e pasciuti che abbiamo visto illuminati dalle lampade hanno gradito gli avanzi. Il posto (che ha anche la piscina, ma ovviamente a gennaio era chiusa) è davvero bello, e ha recensioni adoranti un po’ ovunque: un po’ di foto si possono vedere sul sito. Noi eravamo nella parte di casa denominata Sunia, in cinque.

Il giorno dopo siamo andate ad Arezzo alla caccia di tutti i Piero della Francesca che non avevamo visto e come previsto faceva un freddo belluino (belluino con berretto di lana, guanti di lana, pantaloni pesanti, stivali: ho avuto più caldo in montagna) . A metà pomeriggio (del sabato) mi suona il telefono, vedo un numero di Asti e sto per non rispondere poi mi viene un’illuminazione: l’allarme dell’ufficio, che già una volta aveva chiamato la centrale operativa. E’ l’allarme dell’ufficio (la lista dei numeri è: il mio collega, che in quel momento era sotto la doccia, io, il presidente):

  • Buonasera, è suonato l’allarme della porta d’ingresso. Può andare a controllare?
  • (io) Sono ad Arezzo e direi che è poco probabile. Potete mandare una pattuglia?
  • Non può proprio?
  • SONO AD AREZZO! (a questo punto si girano: Lia, Rebecca la sua amica inglese che era con noi e due passanti)

Faticosamente sono riuscita a convincerli a mandare una pattuglia e poi ho cercato di spiegare a Rebecca perché chiamavano proprio me. Tra l’altro, ho viaggiato con due persone che chiacchieravano con me (abbiamo finito per tentare di spiegare a Rebecca la storia del mostro di Firenze), il che per me è quasi una novità perché Francesco dormiva da casello a casello e nemmeno Lulu è loquacissima)

In ogni caso, la nostra avventura culinaria non è stata altrettanto felice. Pranzo niente di che, sera eravamo talmente intirizzite, e pure sotto una pioggerellina gelata, ma nessuna aveva voglia di fare il primo passo, sinché ho detto ragazze, se non vi dispiace, io mi faccio la doccia poi mangio gli avanzi di ieri, lo so che è sabato, ma di vestirmi per andare in un ristorante meglio di no (avevamo due auto). Boato. Abbiamo saccheggiato la Coop di Arezzo, bevuto due bottiglie di Chianti e scoraggiato chi tra noi aveva ancora pile (cioè la figlia tredicenne di Emilia, Viola).

Il giorno dopo ci siamo svegliate sempre con il freddo, con le montagne spruzzate di neve, ma perfettamente riposate.

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Se ancora avete spazio e tempo

Se come in Mandrognistan ville seguite il rito Ambrosiano avete ancora riti carnascialeschi a cui afferrarvi. Io sono stata abbattuta da un assortimento di germi (la verità è che non ho più il sistema immunitario di una volta, quando frequentando le aule scolastiche venivo in contato con ogni tipo di virus: avendo di nuovo lavorato parecchio nelle scuole eccomi qui abbattuta, pur se in buona compagnia, dato che l’untore finale è stato il mio collega Marco. Anyway, allo stato attuale io sto meglio di lui, almeno a giudicare dal fattore Dylan (Bob, non Dog): ossia quanto nasale ti diventa la voce a causa della sinusite (le denoidi, diceva mia nonna).

Comunque, grazie alla salute cagionevole, ho evitato la sfilata dei carri al Cristo (è un quartiere e si chiama proprio così), anche perché noi della Pista quelli del Cristo li snobbiamo. E mi guarderò bene dal trovarmi in centro domenica prossima, per la ripetizione (siamo ambrosiani, ripeto anche quello). Tuttavia, chi sono io per impedirvi di dedicarvi alla Mandrognistan più turistica?

In ogni caso le mie fedeli spie mi hanno raccontato un po’ di carnevali nei dintorni, mentre se volete vedere quello di Mentone potete andare su Instagram a spiare il profilo @villedementon. Avete ancora a disposizione una sfilata domenica 26.

Invece altri carnevali, domenica, saranno rimandati a causa del nevone ( ossia della perturbazione che forse finalmente porterà un po’ d’acqua sul nostro assestato nord – ovest – qui c’è pochissimo da ridere). Hanno già rimandato quello di Chivasso – dove ho amici, ma nessuna necessità o velleità di andarci. Magari rimandano pure quello di qui, o forse sfidiamo impavidi il maltempo.

Se il maltempo non viene, forse potrebbe aiutarci un’ostensione della Sindone o uno sciamano. Anni fa, quando ero in campeggio con le suore (sì ognuno ha i suoi peccatucci), dopo un luglio particolarmente siccitoso, il parroco locale andò in processione con i valligiani alla cappella che si trovava sopra il nostro campeggio , assolutamente abusivo per gli standard attuali. Nella notte si scatenò un nubifragio e noi finimmo tutti a mollo, chi più chi meno. Quel parroco, già anziano, starà suonando l’arpa con i cherubini in cielo, e noi forse dovremmo recuperare la sua ingenua fede.

Ho incocciato, sempre a caso, il carnevale con luna Park di Cuneo ( d’accordo, è una casualità che un po’ ci siamo cercata): ne parlo, perché, in un momento in cui anche tradizioni consolidate come la Baío di Sampeyre e la Lachera di Roccagrimalda sembrano piegarsi alle esigenze di un turismo che mette in scena le tradizioni popolari (e chi me lo ha assicurato sono studiosi del settore), il Carnevale è il luna Park che si trovano nella centralissima piazza Galimberti ( o si trovavano, forse è già finito) ha proprio il sapore di una volta.

Il mega pen tel cu e le montagne

Oggi è anche un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, e non se ne vede la fine. E slava Ukraini, naturalmente.

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E’ carnevale (e come sempre c’è poco da ridere, ma tant’è)

Oggi è giovedì grasso e per sapere cosa fare da qui a Carnevale, martedì prossimo, non avete che da aprire le pagine di qualsiasi giornale locale (quotidiano o settimanale non importa), a meno naturalmente che non vogliate andare a Venezia, a Cento, a Putignano o a Ivrea a prendere aranciate (non la bevanda, le botte a colpi di arance in testa).

Noi siamo andate (noi cioè io e Lulu) siamo andate al Carnevale di Mentone, il primo visto di persona dopo il Covid.

Se volete partecipare alle sfilate, trovate tutte le informazioni sul sito della festa: https://www.fete-du-citron.com/ . non solo il programma e la biglietteria (i prezzi sono leggermente aumentati rispetto al passato, ma non di molto) ma anche tutte le iniziative collaterali, in particolare le escursioni ai giardini di Mentone, alcuni dei quali sono abitualmente visibili solo nell’ambito di visite guidate.

L’argomento di quest’anno è la musica rock per i carri che sfilano (Johnny Halliday e pure Elvis, per dire) e l’opera lirica nelle sculture presenti nel jardin Biovès, quest0anno veramente spettacolari: Tosca, Madame Butterfly, Carmen, Nabucco (la più spettacolare) Lohengrin – e confesso che ho pensato “che ci fa qui un’oca?” prima di ricordarmi della barca trainata dai cigni.

Sabato era il primo giorno del Carnevale che si concluderà il 26 e in giro c’era il mondo (non abbiamo nemmeno tentato di trovarci una stanza in loco e abbiamo dormito direttamente a Finale Ligure nel nostro solito b&b L’Antico Pozzo: i prezzi in Costa Azzurra per i vari Carnevale raddoppiano quasi quanto per il Festival di Cannes, e in Italia, ricordo a chi se ne è dimenticato, c’era il Festival di Sanremo).

Era comunque una giornata meravigliosa in quanto a clima (indipendentemente dal riscaldamento climatico l’inverno a Mentone è piuttosto mite, ci andava anche la regina Vittoria e non a prender del freddo), e anche se la passeggiata a mare nel tratto accanto al Casino è interrotta dalle tribune sedersi sulle panchine un po’ più in là a scaldarci era davvero molto piacevole.

Lo ammetto, però, sono davvero asociale: vedere tutte quelle persone, per la prima volta tutte insieme, perché è da due anni che fuggiamo con successo dalle folle, non mi è piaciuto moltissimo. Confesso di preferire i miei luoghi del cuore, da Courmayeur a Mentone, a Bormio a Innsbruck con meno gente alle feste comandate e un po’ più tutte per me. Non se la prenda con me, signor sindaco (a proposito, gli stracci in consiglio comunale a Mentone continuano a volare che nemmeno il PD da noi), non ho intenzione di ostacolare il progresso e soprattutto gli affari…

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Un’avventura, meglio, un’apocalisse

Partiamo dalla fine, è stata un’apocalisse. Un’apocalisse della mobilità, un’avventura, vedete voi.

Avevamo già deciso di andar via un paio di giorni per la Fête du Citron di Mentone (di cui vi parlerò nel prossimo post), indipendentemente dalle mie vicende feline – avevamo anche deciso per un week end in montagna più avanti ma due giorni prima mi opero (niente di grave cari, solo i “soliti” denti, ma non credo che il giorno dopo un’anestesia totale avrò tanta voglia di andare in giro) : abbiamo prenotato e tre giorni dopo è arrivato il piano terapeutico, che denota grande ottimismo dato che finirà tra un anno e mezzo.

Comunque. Abbiamo fatto tutto quel che volevamo fare ed eravamo pronte per tornare a casa ad un’ora decente, per non lasciare troppo solo il Giulio senza badanti. Per la verità la mattinata era iniziata non benissimo, con un verbale di mancato pagamento del parcheggio. Passato un quarto d’ora a decifrare il burocratese di Finale Ambiente, sono andata al totem ho inserito il numero della segnalazione e ho pagato…5 euro ( ce ne ho rimesso 2,50 che avevo già pagato, e che cercherò di farmi rifondere dall’app o da loro – hint, ne dubito, ma non andrò in rovina)

Per voi tutti, se non pagate il parcheggio o se non pagate tutto, e come me utilizzate l’apposita voce del parcometro ( la 5, per la precisione, inserendo il codice della segnalazione) pagherete solo dall’ora in cui è avvenuta la segnalazione a quando pagate. In pratica vi fanno pagare soltanto il dovuto, senza multe ( che scatteranno solo se ve ne andate senza pagare – la segnalazione è riferita alla vostra auto). Idea carina, per far tornare le persone, molto meglio che salassare il turista che poi non ritorna. E poi, come vi ho già raccontato i mezzi pubblici funzionano benissimo.

Rese euforiche dal successo, per così dire, alle quattro del pomeriggio eravamo a Noli nello stato piacevole di chi ha preso il sole, camminato e mangiato focaccia e pasticcini ( non insieme). Massì facciamo l’Aurelia, che tanto sull’autostrada ci sono codoni ovunque, che dal basso si vedevano a occhio nudo. E abbiamo fatto l’Aurelia godendoci il panorama. Massì, se arriviamo ad Arenzano poi la coda è quasi finita e al netto dei soliti tremendi lavori a Masone siamo a casa in tempo ( per non fare morire di fame il Giulio, cioè). Peccato che si siamo piantate a Cogoleto. Coda. Trenta metri in un’ora. Chiedo a Lulu se vede il capo della coda all’altro capo dell’insenatura. Solo un luccichio di auto lontane…

A noi e a un po’ di altra gente viene in mente che ci resta il Sassello ( che è l’unica altra soluzione che propone pure Google) . Dovevamo pensarci prima dovevamo pensarci prima. ( possiamo chiamarlo il mantra degli sfigati? Potrebbe essere un rap per il prossimo Sanremo) Sì ma a Varazze non c’era coda e tutto era fluido e bello. Tornando , la coda aveva abbondantemente raggiunto Varazze. E noi abbiamo girato per il Sassello, pagato il dovuto tributo al luogo natale di Pertini e Cinorosino, e poi pam. In coda. Mentre un po’ di divinità venivano tirate giù dai loro paradisi e Lulu risolveva di chiamare la badante più fidata perché Giulio cenasse, io cercavo di capire.

In coda

In realtà, abbiamo scoperto che c’era poco da capire: parete della montagna smottata, lavori, senso unico alternato, traffico fuori dal consueto, coda. Usciti dai lavori, nessuno in giro. Durata della coda: un’ora. Con le persone che si fermavano, uscivano dall’auto, cambiavano guida, coccolavano il cane.

Dimenticavo, in giro solo volpi , gatti in caccia, probabilmente caprioli. E fortunatamente io avevo appena fatto un pezzo del Sassello per lavoro, prendendomi pure le giuste rimostranze del direttore della biblioteca perché c’ero andata da sola al buio ( lui non è stato così aulico, vi assicuro). In ogni caso, essendo naufragate tutte le nostre speranze di un rapido ritorno, ci siamo fermate ad Acqui Terme e abbiamo cenato ( e io ho preso un calice di Arneis, tanto dopo 55km di Sassello che volete che sia)

La Bollente

E tanto per non farci mancare nulla, siamo andate a trovare l’amica di Luisa e fatto un giro per Acqui by night- deserta, l’aria era abbastanza frizzantina.

Tempo di percorrenza Noli – Mandrognistan Ville quattro ore circa. Stasera Google Maps dava la strada del Sassello sgombra come il deserto del Sahara. Naturalmente il Giulio è sopravvissuto senza incidenti e i cani e gatti pure. La A12 ha un serio problema e noi tanta pazienza ( pensate che non ci sono stati incidenti e nessuno ha tirato fuori armi improprie). No, la prossima volta non prendo il treno: ci sarebbero volute quattro ore ugualmente più o meno, se non si viaggia la sera, come ha fatto la badante n. 2 di Lulu. E se sei donna e viaggi da sola questa non è un’opzione.

Comunque potremo raccontarlo ai nostri pronipotini (“sai quella volta che Gnagna è rimasta in coda sull’A12…”i genitori della pronipotina prendono la Torino Savona, ma ci sono code, per lavori, anche lì. Non si scappa)

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Prospettive della mente

In che modo la morte cambia la tua prospettiva?

Avendo cambiato piattaforma, da un po’ mi compaiono domande a cui rispondere come suggerimento per i miei post. E lì per lì mi è sembrata una sciocchezza, ma mercoledì, purtroppo, è mancata improvvisamente la mia amatissima bimbona Pipisita . E io, attualmente, non sto davvero bene

Pipisita

Vedete, non è solo la compagnia che mi (ci) ha fatto per i suoi diciassette anni di vita. Era stata una buffa parte delle lezioni che tenevo a scuola ( e infatti un po’ di studenti l’hanno ricordata sui social), aveva conosciuto mia mamma, aveva tenuto compagnia a Francesco e spesso lo aveva fatto ammattire – specie quando si nascondeva in qualche posto inaccessibile o ci faceva chiamare i pompieri a ore improbabili, o faceva arrampicare la sottoscritta sulle impalcature dei lavori del tetto. Ci aveva fatto fare nuove amicizie ( me lo ha ricordato un’amica giusto ieri sera), e un’intero studio veterinario ricordava di quando aveva morso l’infermiera dopo l’operazione di piometra. Non a caso, ha avuto la forza di tirare un’ultima zampata alla veterinaria e a me. Sino alla fine.

Adesso è con me. Mi sono stati offerti diversi giardini per seppellire le sue ceneri , e persino cuccioli bellissimi per ri-completare il trio. Ma al momento non credo che lo farò. Al momento giusto arriverà il terzo gatto: tutti i miei gatti hanno scelto me , a un certo punto, e sarà così anche questa volta. Per la verità Pipisita aveva scelto Francesco. Per questo era il “nostro” gatto. Cinorosino era sbucato da una fotografia, anche se all’inizio volevamo un altro dei suoi fratellini, e Fanny mi si è proprio arrampicata addosso.

Adesso Pippi è over the rainbow con Francesco, e io non mi sento proprio benissimo. Un gatto (cane, gufo, pure criceto) è sempre una parte della nostra vita. Una parte purtroppo corta. Come anche la nostra vita in tutto e per tutto.

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