Anni fa scrivevo un po’ (tanti) anni fa: “Addio vecchi scarponi SanMarco. Mi è rimasta in mano, letteralmente, la suola mentre tornavo dall’Alpe Baranca, in Valsesia. Non potrei dire da quanto tempo li avevo, sicuramente da prima del ’92 P.M. (Prima del Matrimonio). Non è che sia particolarmente sentimentale riguardo alle cose (non a tutte), ma questi scarponi erano un guanto, gli unici, nel rapporto molto tormentato che ho avuto con gli scarponi da montagna – e con molte altre cose importanti – che non mi abbiano mai, dico mai, fatto neanche una ciocchetta, una piccola vescica. E sì che ho dovuto sbarazzarmi di scarponi anche di marche note, che mi riducevano le estremità ad un’unica screpolatura purulenta. Per la verità già questo inverno avevo temuto che fosse venuta la loro ultima ora, una piccola crepa nella tomaia laterale di ritorno da un’escursione con le racchette. Così, approfittando dei saldi, ho comperato un paio di Tecnica, che dopo un certo numero di prove, e giri in negozi specializzati e outlet, mi sembravano morbidi e sostenuti allo stesso tempo, sebbene forse un po’ troppo rigidi sulla caviglia. Purtroppo, come accade secondo il metodo degli universali di Hume,* la bontà di uno scarpone, o dovrei dire la sopportabilità, si può verificare solo a posteriori e dopo un’escursione di parecchie ore (in cui, per non dover patire medievali torture, si appesantisce lo zaino con un altro paio di scarpe rodate). Ma il mio vero problema è che la SanMarco è scomparsa dai negozi, almeno qui, e forse dalla storia dell’attrezzistica sportiva. E questo è tragico. Ricordo di aver passato vari spezzoni di escursioni solitarie facendo l’apprezzamento di questi scarponi con perfetti sconosciuti. La SanMarco era un must per gli escursionisti con piedi problematici.”
E’ vero, ho avuto altre scarpe dopo di loro, fa molto biblico dirlo così; alcune anche comode – le Tecnica con cui le ho sostituite, le Salomon low di cui ho già consumato due paia – altre meno, tipo le Merrell che stanno come calzature di emergenza in auto nel caso mi bagnassi fino alle caviglie, rigide come un pezzo di plastica, e che personalmente mi danno l’impressione che un bel dì, dopo magari uno sbalzo di temperatura, si romperanno in mille pezzi come capita solo con le suole di corda (che però non si rompono, si sfaldano).
Ebbene, poco tempo fa sulla mia tl di Instagram è comparsa…la pubblicità delle San Marco… Sono tornate… https://www.sanmarcoshoes.com/
C’è un modello, Vintage, che ricorda i miei vecchi scarponi e quello in foto:

che viene definito “urban trekking”, che solo una forma feroce di autocontrollo (e il pensiero delle spese condominiali) mi ha impedito di comperare. San Marco ora è un marchio di proprietà di HEAD Technology GmbH and HEAD Sport GmbH (saranno quelli delle racchette da tennis?) ed è utilizzato sotto licenza da Garsport SRL, una ditta di Volpago del Montello, in Veneto. Come prima.
In effetti questa è una vera e propria Madeleine: Proust aveva i biscotti, io ho gli scarponi (e, sì anche il gelato con il miele della Maison de Filippo “dove andiamo oggi?” “a mangiare il gelato!” e tre km andata e altri tre al ritorno e il gelato era bell’e digerito; quindi ci volevano le scarpe, se no il piacere del gelato era rovinato dalle vesciche, quindi… tout se tient)