Invece di proseguire nella serie sulla Costa Azzurra, anche per rivivere questo bel periodo appena trascorso, vi racconto di cosa si può fare nel natio Mandrognistan, dove notoriamente non si sale ma si sprofonda (letteralmente come vedremo).
Sabato sera avevo una cena con amici a Tortona, quindi, sospettando che la nebbia mattutina si sarebbe trasformata in nebiun condito con galaverna (ossia in spessa nebbia bagnata ghiacciantesi al contatto con il suolo – come direbbe uno che sa di metereologia) il pomeriggio e la sera, avevo rinunciato all’idea di andare a fare escursioni fuori Alessandria. Tuttavia, mentre ero bella tranquilla a scrivere nel primo pomeriggio, mi chiama mia cugina, mi dice “ma sei a casa? andiamo a camminare?” Vuoi dire di no? Appunto.
Così prendo l’auto, scopro che c’è stato un qui pro quo (pensava andassi direttamente da lei a piedi); stabilito questo, mi ha portato dietro la zona commerciale a fianco del Tanaro, dove si aprono alcune piste sterrate (che già qualche amico mi aveva segnalato come promettenti). Scopo ultimo: andare a piedi sino a Solero ( e farsi riportare indietro da un suo amico che vive lì – il quale, messo al corrente della cosa da Millina, ha risposto più o meno Ma te tei màta ). In ogni caso con chi poteva mettere in pratica l’allegro progetto?
Allora: trattasi di percorso ciclabile/pedonale, che non attraversa assolutamente la pericolosissima statale Asti Torino, ma corre parallelo alla analoga ferrovia, superandola, all’inizio, grazie a un sottopasso che si trova in via Vecchia Torino. Sono circa 7 km, assolutamente fattibili da vecchietti e affini e una passeggiata per una veterana del CAI come lei. In ogni caso mi dice di andare in esplorazione perché fa comunque troppo freddo (siamo ben felicemente sotto lo zero), e poi devo andare a cena ( e questo implica un po’ di tempo per trasformarmi da un ammasso di maglioni a un essere umano elegante).
E poi c’è il nebiun: se nel mio quartiere il sole splendeva alto e forte, all’altezza del ponte Tiziano (l’altro ponte, meno famoso del suo omologo Meyer), si traforma in un “lampo giallo al parabriz” come diceva il poeta (di noi Mandrognistani, a tutti gli effetti) e si traforma in una pallina galleggiante in un mare di nebbia.
Scendiamo, e scopro di aver dimenticato i guanti. Grave errore. Meno male che il giaccone ha tasconi profondi. Saliamo su quello che è a tutti gli effetti l’argine del Tanaro, che scorre poco lontano. Ci accoglie un cartello relativo alla costruenda pista ciclabile i cui lavori di asfaltatura dovrebbero terminare …nel dicembre 2021. A vedere e soprattutto provare, direi che non sono mai iniziati. Dopo cento metri, il fango si fa pesante ( ed è effetto dell’umidità) e non si vede pressoché nulla. Ma proprio nulla. Ovviamente non c’è nessuno, neanche qualche altro solitario fachiro che porta fuori un qualche cane altrettanto fachiro (quelli di Luisa, mi racconta il giorno dopo, il sabato hanno stazionato tutto il giorno tra cucina e divani – e sono cani da caccia).
Camminiano a passo abbastanza sostenuto, più che altro per evitare l’umidità che ti si insacca nelle ossa.
Ci fermiamo solo per ammirare i ghirigori che la brina traccia sulle piante, vestendole di un gelido biancore.
Camminiamo senza sapere bene dove siamo sino a quando appare evidente che il sole sta tramontando. Solo al ritorno, dopo un po’, ci rendiamo conto di aver oltrepassato di un bel tratto l’area commerciale del Bennet, le luci accese e i fari delle auto ci danno un’idea del complesso che all’andata avevamo completamento perso, credendo che fosse oltre il viadotto autostradale mentre in realtà è sotto.
In ogni caso abbiamo inanellato i nostri cinque km, andare a piedi a Solero, magari in primavera, pare fattibilissimo, ho dovuto buttarmi sotto la doccia per scaldarmi appena arrivata a casa, da allora ho un vago sospetto di mal di gola, che nemmeno la paranoia più totale mi fa attribuire al Covid.


