l’8 dicembre si è consumata la transizione tra città d’autunno, a inverno conclamato: è nevicato in pianura, in buona parte della Padana Tal e pure nel natio Mandrogistan. I milanesi più o meno imbruttiti che affollavano le piste di Courma e dintorni si sono felicemente impantanati sulla discesa per Dolonne (col suvvone, neh, non con gli sci, e sì tengo d’occhio i gruppi locali sui social che sono sempre una bella fonte d’informazione e di divertimento).
Ieri è ancora nevicato e a me non è restato altro che passeggiare, con la mascherina, nella città deserta.


A loro, è rimasto di far danno in casa: a Cinorosino, frustrato dal fatto che gli ho impedito di mangiarsi i festoni natalizi (me ne sono accorta pulendo le lettiere, non tutti fanno la pupù con le paillettes), è bastato distruggere la scatola delle luci natalizie, sotto lo sguardo ieratico di Fanny. La mia bimbona Pipisita ha invece monopolizzato il termosifone (sguardo da vorrai mica darmi la pasta renal, vero?)
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Ok, qualcuno è passato sulla tastiera mentre rispondevo al telefono e ha aperto pure Preferenze di Sistema, lasciando un criptico commento a proposito della mamma. In ogni caso, ho scoperto che la mia trasformazione in gatto, in questo ponte dell’Immacolata mancato, si è felicemente completata: a casa mia, leggendo, scrivendo e disegnando avvolta nei gatti (gli altri) e nel plaid, sto benissimo.
Sapere che c’è un posto dove tornare, e che si può chiamare home, Heimat, rifugio, rende più interessande il partire. Potendo, naturalmente.