
Ormai vi ho parlato delle terre di Pelizza in tutte le combinazioni possibili, ma devo dire che io e Lulu non abbiamo ancora smesso di esplorare i dintorni (dintorni in cui lei abita ormai da vent’anni, ma va bene così): la verità è che anche lei, al di fuori delle circostanze in cui stiamo insieme, non ha molte possibilità di esplorarli, quei dintorni. Esattamente come me, che i dintorni collinosi di Mandrognistan Ville non li conosco come vorrei: si arriva a casa sempre troppo tardi dal lavoro e spesso, più che di camminare, si ha voglia di spiaggiarsi davanti alla tv (o davanti a un libro insieme ai gatti, nel mio caso, o davanti al computer a scrivere eccetera.) Tranquilli, i suoi cani non sono costretti in alcun modo: hanno un enorme giardino davanti e dietro casa. Insieme però, se non ci sono io, non escono quasi mai, perché da soli non è possibile portar fuori due cani che tirano, uno dei quali è indiscutibilmente un cane da caccia. Così quando arrivo, non ho ancora spento il motore che già ululano per la felicità (anche se per me vuol dire un giorno di mal di schiena assicurato, perché Mirta, anche se non sembra dalle foto, è davvero un grosso cane e io non ho ancora imparato a tendere qualcos’altro che non siano i muscoli della schiena per farla andare al passo).
Comunque, il giorno di Pasquetta, forte del poter andare a trovare il mio prossimo, abbiamo lasciato il Giulio a digerire il sartù ( e vi assicuro che ha digerito prima di me di sicuro), abbiamo preso i cani e siamo andati a seguire una stradina che parte dalla provinciale dopo il deposito del Gulliver. La stradina sterrata, che Mapsme indica come via Casalnoceto, subito sembra voler rientrare sulla provinciale, in realtà piega a novanta gradi e si inoltra nei campi. Dopo trenta metri ci attraversa la strada una lepre, di cui per fortuna né Tobia, né Mirta che hanno il naso per terra si accorgono. Se no, non saremmo qui a raccontare con tanta disinvoltura. Subito dopo ci sorpassano in bicicletta due aspiranti Nibali di una dozzina d’anni, che scompaiono in una nuvola di polvere. Dopo un po’ arriva un altro ciclista arrancante, che a occhio e croce parrebbe imparentato con gli aspiranti Nibali. Poi più niente.
La nostra stradella si inoltra diritto, e leggendo la mappa immaginiamo che possa finire in una strada oltre Rivanazzano che porta direttamente a Voghera. Superiamo una roggia del tutto asciutta, un bivio a sinistra verso la cascina Spagnola, dove la strada è di nuovo asfaltata e continuiamo. Un cartello scrostato attira la mia attenzione: Provincia di Pavia, Divieto di caccia, zona di ripopolamento. Ops. A un certo punto, chissà dove, siamo diventati clandestini in Lombardia ( e in due, abbiamo due mascherine, due telefoni, due cani, e nessun documento). Forse la lepre a sua volta era clandestina in Piemonte. Alla fine arriviamo ad un quadrivio, dove c’è gente che corre e auto, e capiamo di essere sulla strada che porta dirittto a Rivanazzano.
Tra una cosa e l’altra, abbiamo inanellato qualche chilometrino, e avendo prontamente girato le terga dinanzi alla gente (un corridore e due signore che facevano nordic), il tasso di assembramento è rimasto basso. Mi hanno detto oggi che in Mandrognistan Ville c’era un affollamento mai visto (di solito a Pasquetta in città non ci sono nemmeno i fantasmi).