Posso perché devo

Mercoledì sono stata a Milano per la presentazione del nuovo libro di Simone Moro, Devo perché posso, edito da Rizzoli, scritto con Marianna Zanatta, alla Rizzoli in Galleria. Se devo essere sincera non amo molto le presentazioni, perché negli anni ne ho organizzate parecchie, ma certamente la saggistica specialistica non attira le folle, e i testi universitari tendono ad essere faccende per happy few. Invece nel giro di un mese e mezzo ho partecipato a due presentazioni affollatissime, per ragioni diverse. Cognetti, prima del successo, enorme per il mercato italiano, del suo libro e dello Strega era relativamente sconosciuto e a Verbania la gente voleva vedere lui , me compresa, dopo aver letto il suo libro. Simone Moro è un personaggio pubblico, che ha saputo usare i mezzi di comunicazione molto bene, per quello che sono, e rimanendo sostanzialmente se stesso, cosa di per sè già non facile, per diffondere le sue “imprese”, il che è parte di quello che è l’alpinismo attuale. Fa bene a farlo, lo sa fare in maniera adeguata, e la maggior parte delle persone accorse mercoledì sera, me compresa, erano lì per vedere lui. Con o senza libro, e non me ne voglia Simone Moro. E per altro, oltre ai soliti milanesi chic che vanno dove fa figo, di praticanti e appassionati di montagna ce n’erano di sicuro, anche se dissimulati in abiti da pomeriggio (e d’altro canto non eravamo in una palestra ma in una libreria). Lo confesso, il libro non l’ho ancora letto, anche se alcuni dei precedenti stanno nella mia biblioteca (Cometa sull’Annapurna e In cordata, scritto insieme a Mario Curnis), ma come ho già detto, mi interessava ascoltarlo dal vivo. Mi sono divertita, e ho scoperto alcune cose di Simone che non sapevo – d’accordo le avrei scoperte leggendo il libro, probabilmente, ma sentirle raccontare, ovviamente , ha un fascino diverso. Mi é piaciuto in particolare l’elogio del fallimento, approccio sensibile alla montagna, perché come gli racconta Riccardo Cassin, l’alpinista migliore è quello che torna a casa vivo (e Cassin infatti è vissuto ben 101 anni). E diventare il nuovo Messner, il suo idolo della giovinezza (Moro compirà cinquant’anni nelle prossime settimane), implica quasi naturalmente essere lì per raccontarlo.

Simone Moro è certamente è un uomo felice, quando arrampica, quando vince, quando sta tre mesi lontano da casa a d inseguire un sogno e non importa se alla fine la vetta non si concretizza (ci sono voluti due o tre tentativi per salire l’invernale del Nanga, e la felicità è nel percorso per arrivare non nella vetta. E certamente meglio che andare in ufficio tutti i giorni.)

Almeno Simone sa cosa significa fatica, ha persino fatto il minatore in val Formazza per il raddoppio del metanodotto, e con quei soldi si è finanziato una delle prime spedizioni.

Divertente il pragmatismo tutto bergamasco dell’avere un piano B ( se fallisci, per quando sarai vecchio, perché un giorno o l’altro e lo dice come un dato di fatto su cui ha già riflettuto, bisognerà smettere) e la cassetta degli attrezzi per il piano A, diventare il nuovo Messner, le lingue, la laurea, gli sponsor ( ed è lì che incontra la Zanatta, che è nel marketing di North Face e adesso da molti anni gli fa da manager e alter ego, o meglio, fa da manager all’ego non proprio piccolo del suo cliente che è noto per essere abbastanza polemico verso l’ambiente. ) Il giornalista Filippini è la giusta spalla per lasciar trascorrere un pomeriggio piacevole, tra aneddoti e perle di saggezza. Che Moro sia un uomo felice è evidente, e la sua felicità è contagiosa… le sue abilità di conferenziere, per così dire hanno bisogno ancora di qualche messa a punto:nonostante tutto, l’uomo non è così disinvolto come vuol far credere al suo pubblico, quando manca il filtro di una telecamera.

Informazioni su alpslover

camminatrice e scrittrice, insegnante e madre - di - gatto, moglie scoordinata e ricercatrice, vive nel profondo nord.
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