Carissimi tutti, annunciazione: mi sono venduta a Jeff Bezos, ma credo che per andare in giro con uno yacht come il suo questa vita non basterà e probabilmente nemmeno la prossima. In altre parole se vi verrà la curiosità di leggere il libro di cui parlo, potrete farlo tramite il link e io guadagnerò qualche centesimo (di questo si parla , neh). Le scatolette dei due disgraziati che si godono l’aria condizionata costano (e pure l’aria condizionata).
Se devo dire la verità, a me Amazon ha salvato in numerose circostanze, anche al lavoro. In molti casi, se ti serve un libro per il giorno dopo e il tuo libraio di fiducia non ce l’ha, santa consegna il giorno dopo ha sistemato le cose; inoltre, dato che leggo molto – quasi tutto in realtà- in lingua, non ho molte alternative: non ne ho proprio. E sì, dato che i testi di filosofia che mi interessano non li traducono proprio, non ho alternative, again: Amazon è l’unico modo per averli, talvolta anche con lo sconto.
Fine del pippone e passiamo alle cose serie: a Caraglio si leggeva benissimo, sulla terrazza, e quindi ho letto.
Primo libro, La felicità del lupo di Cognetti. Mi autodenuncio: quando vi ho parlato di <a href=”http://senza mai arrivare in cima“> non mi sono resa conto che ve ne avevo già parlato durante il lockdown. Vuol dire che l’arterio avanza. Resta il fatto che è un libro che mi è piaciuto molto allora e ora – sì io rileggo. La felicità del lupo mi è piaciuto persino più de Le otto montagne: è più asciutto, come se le vite dei personaggi bastassero da sole. Un uomo, Fausto, e una ragazza, Silvia, che provano a ricostruire le loro esistenze in montagna (a cercare la loro felicità, come il lupo, che forse alla fine ritorna nella valle)
Secondo libro. Dato che qui si parla anche di gatti, mi sono portata dietro un libro che parla di gatti, L’istinto del gatto mediterraneo di Paolo Ganz: un libretto tenerissimo che parla di viaggi -l’autore è un filosofo e viaggiatore, e di gatti. Se non ne avete uno, di gatti voglio dire, vi verrà sicuramente la voglia (non non si parla dei peli dappertutto e delle camicie da notte con i buchini da gommini, quando si sta vicini vicini – Fanny vorrebbe anche adesso, immaginatevi.)
Terzo libro, snob che più snob non si può: New York sans New York di Philippe Delerm, che nessuno ha tradotto, quindi se lo volete, e non siete nei pressi della libreria di Antibes dove l’ho comperato quest’inverno, non avete scuse. Ho un amore alternante per Delerm, alcuni libri sono più riusciti, altri insopportabilmente melensi, ma questo mi sembra particolarmente riuscito: si parla di New York come di un luogo – non luogo, di Parigi, della sua vita (chissà perché tutti hanno compagni di scuola fighissimi che diventano famosi / milionari/salvano il mondo, quando nessuno dei miei compagni è mai arrivato a tanto – e spero per voi, che vi ho perso di vista per lo più quarant’anni fa, che stiate facendo una buona vita, qualche maledetto è già in pensione, mannaggia). L’idea di fondo è che New York è un concetto, un’idea e come tale può servire anche se non ci siete mai andati. A me soprattutto piace la forma del piccolo saggio/bozzetti ecc. Una cosa tipo i Pensieri di Pascal o lo Zibaldone di Leopardi, ma tranquilli, molto più leggero nel tono e nel racconto

