Anche perché con quello che costano il gasolio e l’autostrada (e le bollette, le tasse, le spese condominiali ecc ecc) il camminatore povero deve adeguarsi. Facilmente, tra l’altro, dato che la temperatura è ancora più o meno dolce (non sto facendo riflessioni sul clima – non sappiamo ancora che tipo di inverno sarà – ma qui siamo più o meno nella media degli ultimi anni – freddino la mattina, caldo a mezzogiorno con i gatti che si fiondano in terrazzo , freddino la sera di nuovo. Poi saprò dirvi se ai Santi come era uso metterò il cappottino leggero o il giaccone, o se rimarrò in maglietta come lo scorso anno a Bolzano)*
Comunque ho scoperto Moncalvo. No, non perché non ci sia mai andata, al contrario c’ero stata con mio marito da fidanzati, ma appunto, stiamo parlando degli anni Novanta. E la domenica che ci sono stata c’erano alcune particolarità interessanti. Il mercato dell’antiquariato, sui bastioni di piazza Carlo Alberto, per incominciare. La partita di pallapugno -di serie C, ho sentito dire da una signora al bar – mentre guardava i perdenti che allo stesso bar stavano bevendo. Se non avete mai visto una partita di pallapugno, che è una cosa molto piemontese, ve lo consiglio caldamente. Dai bastioni, oltre alla vista panoramica sulle colline, la partita si vedeva benissimo. Le chiese aperte, con l’Associazione Caccia che faceva le visite guidate alle opere del “Moncalvo” – Guglielmo Caccia, appunto, nella chiesa di Sant’Antonio e in quella più grande di San Francesco in cima a un altro belvedere. Nelle due chiese si ha praticamente una panoramica dei vari periodi della produzione dell’artista dalle prime opere a quella lasciata incompiuta è terminata per sua volontà dalla figlia Orsola, anche lei pittrice – una delle poche dell’epoca della Controriforma.
In più, sempre sulla piazza principale si può ancora ammirare la facciata della sinagoga, ultima testimonianza di un rito piemontese diverso da ogni altro.



