Abbiamo, come già più volte detto, esplorato quasi tutte le frazioni intorno a Baceno, a piedi e in macchina, per caso o con intenzione. Così siamo capitati per ben due volte a Croveo: la prima volta, seguendo un sentiero consigliatoci dalla nostra padrona di casa Ines, siamo risaliti lungo il Devero, e abbiamo finito per ritrovarci, dopo una bella camminata nel bosco, proprio alla periferia di Croveo, tra muschi e cascate e piccole dighe. Ma siccome era ormai ora di pranzo avanzata, siamo scesi lungo la provinciale dell’Alpe Devero sino alle prime case di Baceno, per poi intrufolarci in mezzo alle viuzze (dove la gente pranzava più o meno la sole) per riprendere la nostra scorciatoria tra i prati e mangiare anche noi in terrazza.
La seconda volta, al termine di un pomeriggio in cui avevamo fatto altro, abbiamo deciso di vederlo con più attenzione e ci si siamo ritrovati in mezzo a persone che prendevano l’aperitivo nel bar sulla piazzetta. Ci siamo fatti un giro, scoprendo che il piccolo paese aveva un numero ragguardevole di antiche case, e un campanile molto molto particolare, staccato dal corpo della chiesa e arrampicato su uno sperone di roccia.

Oltre a questo, dopo aver salutato il parroco che stava appunto chiudendo la suddetta chiesa, abbiamo osservato una statua, per la verità alquanto bruttina (e in questo assai parente prossima del Rattazzi che troneggia nella piazza principale di Mandrognistan Ville) di quello che pareva un prete con tanto di berretta che aveva du bastoni in mano. Abbiamo pensato boh e siamo andati a vedere il resto del paese e in particolare la secentesca casa del Cappellano.
E lì ci è stata raccontata la storia della statua, ovvero di Don Ruscetta, che non aveva in mano due bastoni, ma due vipere, perché era abilissimo nel catturare le bestie (afferrandole con decisione), tenerle in cattività e poi procurare il veleno per l’Istituto Sieroterapico di Milano, procurando così un modesto introito per il paese. Lo racconta Guido Piovene nel Viaggio in Italia , poiché ebbe la fortuna di incontrarlo benché in tarda età, ma ancora piuttosto pimpante.
Non solo, i paesani, che lo apprezzavano per le sue doti di mediatore, dicevano di lui anche un’altra cosa, cioè che fosse un temibile stregone, e che poteva trasformarsi in gatto nero e lanciare potenti malocchi. Lui, racconta sempre Piovene, si schermiva dicendo trattarsi di semplici pettegolezzi.
E qui, essendo nipote di una che bativa la fisica (anche a Croveo si dice più o meno così) e sapendo di fisica io stessa, non posso che essere dalla parte del parroco (valle di streghe, la Val Formazza, tra l’altro, come si evince anche dalla statua).