Lo ammetto, questo week end mi ha dato grandi emozioni. Da tastiera, perché tra la caviglia convalescente e l’influenza che mi abbandona lentamente ho ricominciato solo questa settimana a vedere che sensazioni mi dava il camminare. Invece una parte della mia famiglia fa sul serio. Dannatamente. Va detto, Francesco era un po’ una mosca bianca in una famiglia ben altrimenti sportiva. Infatti oggi suo cugino Enrico Roggeri e suo nipote Beniamino Ariotti hanno corso la Marcialonga di fondo arrivando… in fondo alla gara, in otto ore e mezza Beniamino, quasi nove ore Enrico che ha due anni meno di me. ( in caso interessasse Qui ci sono gli stats di Beniamino)
Chapeau. Nessuno aveva ovviamente ambizioni classifica (gli élite hanno fatto i settanta km in tre ore): arrivare in fondo senza ammazzarsi è già un enorme successo. Curioso, ma non troppo: il più giovane, che si è meticolosamente allenato sin da quest’estate, ha avuto i crampi. Il più anziano (maturo, meglio), no. Perché ha bevuto e si è rifocillato nei punti di sosta, l’ha presa con il suo tempo eccetera.
(Foto courtesy Beniamino Ariotti)
Eccoli nei selfie durante e dopo gara . Va detto che il gruppo Verdefondo di Alessandria ha fatto benissimo: tra novellini e veterani sono arrivati tutti al traguardo e alcuni anche con un tempo ragguardevole. Chapeau.
Seconda cosa. Avrete almeno orecchiato la vicenda di Tomek Mackiewitz e Elisabeth Revol sul Nanga Parbat (se non ne avete sentito/visto nulla, su Montagna tv c’è tutta la storia a cominciare dall’ultimo post). In sintesi la coppia di alpinisti, dopo un tentativo andato a vuoto lo scorso anno, quando invece Simone Moro e altri riuscirono, sono tornati sul Nanga Parbat per la ripetizione in invernale di una via aperta da Messner e non completata integralmente. Sappiamo che sono arrivati in vetta. Ma sembra che al ritorno Mackiewitz per un incidente sia stato colpito da cecità da alta quota. I due sono scesi sino a 7000 metri circa, poi Elisabeth ha lasciato il compagno in una tenda e ha proseguito la discesa, questa volta lungo la più diretta via Kinshofer, chiedendo al tempo stesso soccorso via radio. I due sono saliti in stile alpino, senza ossigeno e senza una grande spedizione di supporto al seguito; avevano finanziato la spedizione con il crowdfunding. Il Pakistan non è il Nepal, dove operano da anni agenzie di soccorso con gli elicotteri: il Karakoram è considerato zona militare, volano solo elicotteri militari con molte limitazioni. E però, una mobilitazione internazionale, nonché l’intervento dell’ambasciatore francese, ha procurato gli elicotteri. Dalla spedizione polacca al K2, che sta tentando di scalare l’ultimo ottomila non ancora scalato in inverno, sono partiti quattro alpinisti, assolutamente volontari, tra cui Adam Bielicki e Denis Urubko, sono arrivati al campo base del Nanga e hanno risalito 1200 metri di parete in poche ore, continuando anche di notte, per incontrare Elisabeth, che ha continuato a muoversi nonostante i congelamenti a mani e piedi. L’hanno trovata questa notte, portata al campo base e messa su un elicottero che l’ha trasportata in ospedale a Islamabad. Ma non hanno potuto tornare a cercare Tomek. Il maltempo ha raggiunto la montagna e risalire a piedi, nuovamente, la parete, sarebbe stato troppo pericoloso. Questa storia mi ha veramente interessato e appassionato. Lei ha avuto un enorme coraggio. Quanto ai membri della spedizione polacca… a usare la parola eroi si rischia la retorica, ma che altro sono? Non li ha obbligati nessuno, hanno corso un rischio non indifferente, a quaranta sotto zero. Lo so, al momento sono il top dell’alpinismo mondiale. Meriterebbero che una scala mobile apparisse per magia sul fianco del K2 per portarli fino in cima. Se la meritano, quella cima. E a noi fa piacere sapere che esistono persone così. Addio Tomek, che è restato sulla sua montagna…