Francesco mi aveva prevenuto che la bellezza della grande Moschea di Cordoba, la Mesquita, toglieva il fiato. Una foresta di colonne, grande tanto da poter contenere una cattedrale al suo interno. Una foresta di colonne che respira. O almeno , questa è l’impressione che ho avuto. Una foresta umana, a dispetto delle molteplici sovrapposizioni religiose che ha subito, dove la bravura degli artigiani e degli architetti ha creato ciò che dovrebbe essere il vero scopo del nostro stare al mondo, del nostro esserci, la bellezza.
Cordoba è tutta bella e bianca, e in quel biancore ti immagini che il tiepido febbraio diventi un luglio rovente e che i fiori che qui sono in anticipo si secchino in un lampo. È anche la città dei filosofi, di Averroè e Maimonide e di Ibn Gebirol ( almeno per la nascita), delle tre religioni, di una eredità ebraica che la Spagna di oggi cerca di riconquistare – la juderia di Cordoba, proprio dietro la moschea, conserva un fascino non finto e la riscoperta di edifici come la piccola sinagoga, il suk (zuk), i mulini sul Guadalquivir.
Un ricordo bellissimo, e un monito su come fare turismo responsabile, dove il traffico privato è dirottato dal centro, ma dove i mezzi pubblici ci sono e i taxi tanti e poco costosi, dove il turista è una risorsa, e certo accanto a tante attività, quelle sì più banali e globalizzate, è facilissimo, se appena si ha la possibilità , imbattersi nella vita del luogo nel suo cibo, e nelle sue abitudini . La coda di toro stufata, con tutto il rispetto per il toro, è una squisitezza.