Trieste e la STORIA (2)

Continua la rassegna dei luoghi storici di Trieste

3. Il Magazzino 18, ossia la tragedia dell’Esodo istriano.

Il magazzino 18, in quanto edificio, attualmente è in restauro, a causa di problemi di staticità dell’edificio stesso; quanto conteneva, è stato spostato nell’adiacente Magazzino 26, nella zona del Porto vecchio, il porto franco di Trieste, una zona che una volta era una specie di città nella città. E ancora oggi ci sono difficoltà oggettive nella fruizione del luogo, all’esterno, ad esempio, è vietato fotografare per ragioni di sicurezza, che anturalmente non riguardano la sede museale che tecnicamente è una parte del Civico Museo della Civiltà Istriana Fiumana e Dalmata. Nel magazzino erano depositati i beni delle persone, più di 350.000, che lasciarono l’Istria, la Dalmazia e Fiume, e che per un certo tempo vissero in campi profughi, in condizioni non particolarmente felici (ho il sospetto che quelli che furono mandati in Piemonte, anche alla caserma Passalacqua di Tortona e alle Casermette qui nel natio Mandrognistan se la passassero complessivamente meglio, anche in termini di integrazione). Molti non potevano, nei pochi metri quadrati che avevano a disposizione, usare i mobili e le masserizie che avevano portato con sé, altri, sul punto di emigrare in America e in Australia, lasciarono indietro molte cose. Alla fine le cose sono diventate res nullius, se non sono state più reclamate dai loro antichi proprietari, e sono state ammassate lì, senza più ordine, sinchè sono diventate oggetti da museo. (Una delle cose che ho imparato è che se anche qualcuno, o qualcuno degli eredi, riesce, e talvolta pare capiti, a riconoscere oggetti appartenuti alla sua famiglia, non può più reclamarli, il che mi pare strano, ma non sono un’esperta di diritto). Nel magazzino sono in via di trasferimento anche le collezioni del Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata.

Si fanno solo visite guidate: le prossime saranno l’8 e il 22 luglio, con prenotazione obbligatoria qui . Noi avevamo una visita guidata, purtroppo. La persona che ha fatto la visita ci ha fatto un comizio, al termine del quale cosa fosse la storia e la cultura istriana era passato felicemente in cavalleria. A sentir lei i truci comunisti ansimavano alle porte di Trieste (che ora sono attraversate dalle rotte balcaniche dei migranti..); per cui, niente foto, niente video, niente domande, non si va in giro (perché ovviamente potevamo fregarci i bottoni. Per altro, in uno scaffale ho trovato un servizio di tazzine identico a quello che aveva mia nonna, e questo dice molto dei consumi di una -piccola- borghesia italiana coeva, dato che la mia nonna materna non era così ricca, anzi).

Ho evitato lo scontro frontale ( ma non ho firmato il registro dei visitatori) e ho dovuto dedicarmi al debunking sul pullmann.

Quello che mi è mancato è il racconto della cultura e della civiltà istriana, che nasce con il dominio veneziano e in parte anche la contestualizzazione dell’esodo e la sorte di chi è venuto in Italia ( anche perché alcune cose sono state messe in modo davvero fazioso: è verissimo che in alcuni luoghi ci furono problemi, come in Emilia o ad Ancona. È vero però anche il contrario, almeno per il Piemonte, dove i sindaci, pure il nostro, si adoperarono per superare il più in fretta possibile la situazione dei campi e delle sistemazioni provvisorie. Ho visto, guardando un plastico di una città costiera ora in Slovenia, che il suo autore portava il cognome di un avvocato e storico di Casale, piuttosto noto. Che non avrei mai associato alla diaspora istriana.)

Magazzino18

4. Dal Medioevo al Risorgimento

Tutto in bella vista sul colle di San Giusto dove c’era chi pregava con l’animo mesto. La basilica con i suoi mosaici è quanto di più bello in materia io abbia visto (e no, non ho visto Ravenna)

E quindi non c’è da meravigliarsi se dopo la guerra il colle è diventato il simbolo dell’avvenuta unificazione: con un grande monumento ai caduti.

Dal piedistallo, in diagonale si vede il faro della Vittoria di Barcola. Tutta la costruzione risale all’altro convitato di pietra, il fascismo.

In fondo (anche se in realtà dalla foto non si vede)
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camminatrice e scrittrice, insegnante e madre - di - gatto, moglie scoordinata e ricercatrice, vive nel profondo nord.
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