Comincio con un reblog: https://camoscibianchi.wordpress.com/2021/08/15/il-movimento-delle-donne-solitarie/#more-43807
E ovviamente posto il testo di Emanuela Provera perchè mi riconosco nella maggior parte di quello che scrive.
Certo, io vado sovente in montagna da sola perché sono proprio asociale. E ci sono volte in cui il silenzio in cui è avvolta la montagna è esattamente quello che cerco. Letteralmente, che nessuno mi rompa le scatole.
Perché vivo una vita molto sociale, anche se sono sola con tre gatti , e vi assicuro che interagiscono fin troppo, non sono tre animali che si fanno i fatti loro.
Perché faccio un lavoro sociale, che implica una costante interazione, anche ora che non sono più in classe (un lavoro, quello, che mi ispirava sovente fantasie di eremitaggio).
Perché ho una rete di persone, parenti e amici, che più o meno esplicitamente non mi lasciano mai sola, molto più adesso di prima, in realtà. E, va detto, io con loro sto benissimo
Ma in realtà in montagna è difficile essere soli. Ciò che è raccontato nell’articolo mi accade spesso sui sentieri, parlare con sconosciuti, giocare con bambini, sentirsi raccontare storie da persone incontrate per caso mentre fanno altre cose, come il signore che su a Baceno ci ha spiegato per filo e per segno tutte le caratteristiche del suo orto, aggiungendo che era nemmeno lontanamente paragonabile a quello dello scorso anno: per chi come me spia ansiosamente i suoi gerani e si sente in colpa se il caldo li uccide, è stata una lezione di botanica più valida di tre anni di biologia al liceo. O chi una sera di parecchi (tanti anni fa) mi domandò se andava tutto bene, dato che ero seduta a scrivere a fianco di un sentiero trafficatissimo del TMB. O l’infermiera di Brimingham che mi raccontò la sua vita mentre salivamo verso il Lac Noir in una calda giornata di settembre.
Non si è mai soli in montagna, neanche quando si è con se stessi.