Anche il podcast anticipa, ovviamente la pubblicazione , per il 25 aprile. Un 25 aprile, di sole e di vento, interrotto solo da qualcuno che oggi alle 15, come da flashmob, ha sparato Bella Ciao a tutto volume , che è stato sentito probabilmente persino da Mattarella all’altare della Patria. Così ho cantato in tutta sicurezza ( nel senso che ho cantato con qualcuno che dava il tempo correttamente) mentre stendevo il bucato con i gatti, a cui il vento però dava talmente fastidio, che sono subito scappati in casa.
25 aprile senza cerimonie mi sembra strano, senza garofani, senza passeggiata sui luoghi di memoria ( che anche in città sono ben lontani dai fatidici 200 m. di diametro concessi, che comunque stasera ho abbondantemente superato – tra persone con il cane , quattro auto, due rider, uno dei quali non sapeva dove fosse via Tonso)
Da piccola Bella Ciao mi metteva a disagio, non solo perché mio padre era stonato come una campana rotta e le sue canzoni patriottiche richiedevano una prova non da poco ( di solito ci pensava mia madre che al contrario aveva un buon orecchio ed era molto intonata) : quel che mi metteva a disagio era quel “ morto per la libertà “, che qualcuno, di solito mia nonna o mia zia associava sempre a mio padre con solennità, anche se mio padre era ovviamente vivo e vegeto, ma quando morì sua sorella che era molto più vecchia tra le altre cose mi disse, è stata la guerra ( nel senso suppongo che era stata la guerra a provocare i problemi di salute del dopo).

La canzone di mio padre era indiscutibilmente Fischia il vento, perché diversi del suo distaccamento alla rossa primavera ci avevano pensato davvero ( e vi assicuro che per mio padre, che era un vero socialista, i comunisti erano troppo stalinisti) e le armi del distaccamento, parola di mia zia erano rimaste nascoste nella nostra cantina, per usare le sue parole, ben oltre la legge Scelba. Poi alla fine era arrivato il boom economico, suo fratello si era finalmente laureato e le armi erano finite nel pozzo ad arrugginire.
Comunque era Fischia il vento perché la canticchiava sempre andando in montagna “ eppur bisogna andare”: dal che si capisce la necessità storica del momento: camminare, ancora camminare e soprattutto non rompere.