Visioni: Reality di Matteo Garrone

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I film che premiano nei festival di solito si possono raggruppare, grosso modo,  in tre categorie: quelli che sono capolavori così evidenti da essere in qualche modo banalizzati dalla  forza della loro stessa bellezza, quelli che devono essere premiati per il prestigio del loro autore (quindi sono belli per forza), quelli che ti domandi che cosa si sono fumati i membri della giuria per averli premiati.  Reality ricade nella seconda categoria. Ed è, purtroppo per il suo autore, un brutto film, o almeno un film non riuscito. L’iperrealismo algido di Garrone ha bisogno, per non essere totalmente inerte, di una idea forte di base (e una sceneggiatura altrettanto forte). E questo non ce l’ha : che un simpatico pescivendolo impazzisca per essere scritturato dal Grande Fratello al punto da immaginarsi di essere spiato per vedere se sia degno di entrare in quella Casa non costituisce propriamente una novità. Nemmeno che  da una religione (la televisione) passi ad un’altra (la Religione con la maiuscola) e si serva della seconda per confermare la prima, nemmeno: lo diceva già anche Marx. Recitato benissimo, da solidi caratteristi e da sconosciuti (il protagonista ha una faccia che farebbe impazzire Scorsese), però tre pecore (la seconda parte è noiosissima)

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camminatrice e scrittrice, insegnante e madre - di - gatto, moglie scoordinata e ricercatrice, vive nel profondo nord.
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