Come promesso vado all’ indietro a raccontare un po’ di montagna, perché qualcosa ho fatto, non moltissimo ( bei tempi quando con la mia mamma andavamo via tutti i sabati, marito ( martirio, lo chiama mia cugina) o no. Ma d’altro canto lui allora stava benissimo da solo, mentre ora se ne sta lì attaccato come una patella allo scoglio o come la gatta al suo cuscino. Sinceramente non ricordo più a quando risale la mia ultima St. Orso, ma sono parecchi anni fa, temo, perché in questi due anni il mio dirigente mi ha pervicacemente messo scrutini il 30 e il 31.
Era così mite il tempo, che pareva primavera, con un accenno di föen che scompigliava i capelli, così non c’era neanche troppo bisogno di dar fondo alle bottiglie, però quello è un classico della fiera, e anche della Veouillà della sera. Si sentiva solo parlare patois. Perché però ho l’impressione, forse solo mia, che la Fiera fosse un po’ sottotono? Forse perché nelle vie si poteva passare agevolmente o quasi ( ricordo di anni in cui la folla era un unico blocco impossibile da attraversare) e fermarsi davanti ai banchetti senza essere spazzato via dai calci negli stinchi. L’unico posto veramente affollato era, ma guarda, il grande stand enogastronomico. Ho lasciato perdere. Sono a dieta.ho resistito persino alle frittelle della fiera (piazza Chanoux odorava di zucchero e di pasta fritta). Ho comperato il Muscat di Chambave in una enoteca e mio marito è stato contento; ho comperato mezz’etto di lardo di Arnad ( ed è già un miracolo che il salumaio non si sia messo a ridermi in faccia) e lo abbiamo odorato alla faccia del dietologo (che, ho scoperto, era a Pila a sciare) .
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